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Racconto breve - Le macchine di Jacobs




LE MACCHINE DI JACOBS
di Giorgio Pezzin



Le macchine di Jacobs avevano funzionato per molti anni all'interno di una serie di tetri capannoni che formavano una delle prime fabbriche della regione, nella seconda metà del secolo scorso. Di architettura vagamente gotica, i capannoni erano neri e fuligginosi con grandi finestre chiuse da inferriate e dai vetri sporchi, oltre i quali era tutto un baluginare di fiamme e di fumo. Dall'interno uno stridio di meccanismi in movimento, clangori, urti e ansiti come se mille mostri vi fossero chiusi dentro prigionieri e sforzassero per uscire.
E mostri erano quelle macchine: gigantesche vaporiere sbuffanti che muovevano ciclopiche pulegge; ingranaggi digrignanti denti mostruosi che si incastravano senza fine stritolando il minerale che poi finiva nelle bocche fumanti dei forni; che lo vomitavano rosso e ardente negli stampi dove rattrappiva, sfrigolava e infine si pietrificava come preda di un infernale incantesimo.
In mezzo ai vapori e ai ruggiti della ferriera, centinaia di uomini scuri e grevi si muovevano senza posa, sferzati dal ritmo delle macchine, diventati macchine anche loro.
Su tutti si posava lo sguardo di Mister Jacobs, il padrone della ferriera che, appollaiato sul suo ufficio all'ultimo piano, controllava il capannone principale attraverso una finestra che dava all'interno con uno spesso vetro a separarlo dai vapori infernali. Posava lo sguardo e vigilava che i suoi crudeli aiutanti controllassero a loro volta gli operai e li spronassero senza fine; nessuno poteva sgarrare, nessuno riposare. Giorno e notte il respiro della ferriera teneva sveglio tutto il paese che le viveva intorno, prigioniero dell'unico lavoro che la zona potesse offrire.
Poi le cose erano cambiate. La ferriera era stata chiusa; Jacobs imprigionato per certi loschi affari e infine scomparso chissà dove. Nessuno aveva potuto o voluto prendere il suo posto. Sterpi e rampicanti sempre stranamente rinsecchiti avevano pian piano avvolto i capannoni e la ruggine era cresciuta sulle macchine ormai immobili. La natura aveva come cercato di cancellare quell'orrore, ma nessuno era riuscito a dimenticare. Per molti anni la ferriera aveva continuato ad essere il simbolo di un periodo crudele. Nessuno si era più avventurato all'interno e, mentre intorno la città fioriva e diventava più bella, un'atmosfera di cupa inquietudine e una quasi opacità dell'aria avevano continuato ad avvolgere il vecchio stabilimento intorno al quale il tempo sembrava essersi fermato.

*
Fu così che lo vide di passaggio Morgan mentre percorreva la litoranea. Quel sobborgo della vecchia Boston, dietro alla collina, gli era praticamente sconosciuto e la vista di quei vecchi capannoni non gli faceva la minima impressione. Ma uscendo dalla strada principale e scendendo verso le case, li rivide sullo sfondo, dietro ad una cortina di verde e di sterpi e non poteva fare a meno di notarne l'architettura strana e inusuale. Archeologia industriale – rifletté Morgan – sarebbe stato interessante recuperare quell'antico opificio e farlo diventare uno spazio pubblico. Strano che nessuno ci avesse ancora pensato. Tutto sembrava abbandonato da secoli e un vasto spazio incolto separava la zona dalle nuove case costruite in seguito, come se la città non volesse avere niente a che fare con i vecchi capannoni.
Morgan si fermò pensoso ad osservare quelle finestre vuote: tutto era immobile e deserto, certo... ma non erano fiamme quelle che aveva intravisto per un momento dietro ai vetri sporchi? Forse un principio d'incendio? Ma non usciva nessun fumo e anzi l'aria era immota e pesante. Forse un riflesso del sole che sta tramontando – pensò Morgan - continuando la sua strada.
Morgan aveva un appuntamento con Hans Mayer, un vecchio amico di università che aveva ritrovato dopo averlo perso di vista da tanto tempo e anche lui emigrato in America dove aveva messo su famiglia. Arrivando ad un piccolo parco in mezzo alle case, vide il piccolo Georg, figlio di Mayer, seduto su una panchina accanto ad un vecchietto dall'aria simpatica e mite quanto svampita.
- Ciao Georg, ti ricordi di me?
Morgan si era avvicinato al ragazzo porgendogli l'orsacchiotto che gli aveva portato in regalo, ma il bambino rispose spento e triste, continuando a guardare il vecchio che continuava a non muoversi, con lo sguardo fisso nel vuoto. Alla richiesta di spiegazioni di Morgan, Georg scappò via piangendo.
Quella sera a cena dai Mayer (Georg era già salito in camera) Morgan apprese come stavano le cose: il ragazzino era in quello stato da due settimane , da quando il vecchio Sam aveva avuto quella strana malattia che lo aveva reso assente e abulico.
Sam giocava sempre con Georg; si trovavano al parco e il bambino lo chiamava nonno, come facevano tutti gli altri ragazzi con quel vecchio signore simpatico, arzillo e sempre disponibile.
Per qualche misterioso motivo Georg era convinto che quanto era accaduto a Sam era colpa sua; per questo era disperato.
Il giorno dopo Morgan riuscì ad avvicinarsi dolcemente al ragazzo e dopo qualche difficoltà riuscì a farlo parlare apprendendo che sì, Sam era diventato così dopo che era andato all'interno del recinto della vecchia fabbrica per recuperare un pallone che i ragazzi avevano lanciato laggiù per sbaglio.
Il vecchio si era infilato in un buco della rete (nonostante tutti dicessero che là dentro non si doveva andare) e non era più tornato. Era stato lo stesso Georg ad andarlo a prendere (e mai lo avrebbe confessato ai genitori), trovandolo dentro il capannone mentre cercava incredibilmente di manovrare una di quelle vecchie macchine arrugginite. Lo aveva condotto via per mano mentre i capelli gli si rizzavano sulla nuca come se qualcuno li seguisse e cercasse di trascinarli indietro.
Da allora Sam non si era più "svegliato" e Georg era in preda alla disperazione. Se non avessimo lanciato quel pallone...
Incuriosito dalla vicenda, Morgan si mise ad indagare e ben presto scoprì che altre persone si trovavano nelle condizioni di Sam e tutte – Morgan ne restò molto colpito – si erano avvicinate o abitavano vicino alla vecchia fabbrica.
Sembrava che quelle strane malattie si fossero manifestate da circa due mesi; dall'epoca di un violento temporale scoppiato nella zona, che tutti ricordavano per il violento fulmine che aveva colpito proprio la fabbrica, senza però apparenti conseguenze. Cosa sarebbe potuto succedere a delle macchine di ferraccio ferme da decenni?
Ma anche Morgan si sentiva attratto da quei vecchi capannoni e una sera rivide le fiamme dietro alle finestre. Incuriosito e inquieto, decise di andare a vedere di persona. Seguendo il recinto trovò ben presto il buco nella rete fatto da Sam e stava per infilarcisi quando una voce lo bloccò. Era Mayer che lo aveva visto e seguito e ora lo stava trattenendo spaventato e in preda ad una febbrile agitazione.
- Sei matto ad andare lì dentro? Quel posto è maledetto, lo sanno tutti. Sono certo che si rischia di incontrare il demonio.
Ma Morgan sorrise. Forse non occorreva scomodare il soprannaturale. Forse nella fabbrica c'era qualche componente inquinante che provocava quelle misteriose malattie in chi si avvicinava. Ma bisognava assolutamente saperne di più.
Mayer si guardò intorno nervoso, poi, avvicinandosi cauto a Morgan, estrasse dalla tasca e gli mostrò un ingranaggio che lui stesso aveva sottratto da dentro la fabbrica.
- Lo so che è pazzesco, ma ho sentito quello che Georg ti ha raccontato e ho voluto andare a vedere di persona – spiegò Mayer con occhi febbrili - Tutto è immoto e rugginoso ma incredibilmente inquietante, all'interno. Le macchine sembrano belve immobili acquattate nell'ombra pronte a colpire. Cigolii che fanno rizzare i capelli provengono da quelle pance cavernose mentre un sottile fumo rossastro, quello tipico delle fonderie, sembra filtrare attraverso le lamiere.
Toccato dall'umore rossastro, quell'ingranaggio si era incredibilmente messo a vibrare e a muoversi come se volesse rimettersi a funzionare. Ma si era sganciato dal suo asse ed era caduto a terra ai piedi di Mayer che lo aveva raccolto e poi era fuggito.
Morgan esaminò con attenzione il vecchio ingranaggio: era untoso, a tratti quasi molle nelle sue mani ed emanava un odore indefinibile che colpiva allo stomaco.
- E' odore di cattiveria – sentenziò Mayer con una inquietante inflessione della voce – da qualche parte sta avvenendo qualcosa di terribile e ha a che fare con quella fabbrica.
Morgan decise che la notte seguente sarebbe entrato all'interno per verificare le parole di Mayer. L'amico, chinando la testa rassegnato, dichiarò che sarebbe andato con lui.


La notte seguente il tempo era cattivo e un terribile temporale si preparava, rendendo ancora più sinistra la scena. I due si inoltrarono tra i pilastri rugginosi che sorreggevano una grande tettoia il cui tetto di lamiere corrose presentava ampi squarci attraverso i quali si scorgeva il cielo sempre più nuvoloso e rotto da lampi terribili. Improvvisamente un fulmine colpì proprio uno dei tralicci e si scaricò giù per le strutture fino ai piedi di Morgan e Mayer , incendiando il terreno intorno a loro.
Mentre l'oscurità tornava a riavvolgerli i due si guardarono intorno sul terreno fumante scoprendo sconcertati che si trovavano in un altro luogo.
La fabbrica era sparita e l'orizzonte svanito dietro una nebbia sinistra che li circondava.Tutto faceva credere che il lampo avesse aperto una qualche "porta" attraverso la quale erano entrati in un'altra dimensione. Facendosi coraggio a vicenda i due avanzarono cautamente guardandosi intorno.
Muovendosi in quella landa desolata incrociarono dei binari sui quali, poco dopo, transitò sferragliando un treno lugubre e nero con molti vagoni carichi di rottami di ferro. In lontananza si vedevano i fari di un altro convoglio che seguiva il primo, e che si avvicinava rapidamente sferragliando.
I due si inerpicarono su un ponte che sovrastava la ferrovia e al convoglio seguente si lasciarono cadere su un vagone. Anche questo era pieno di rottami e per fortuna restarono illesi piombando su una grande lamiera che, piegandosi, attutì la loro caduta.
Il treno si fermò ad un terminal dove una gigantesca benna metallica agguantò i rottami per scaricarli. I due intrusi si affrettarono a scendere evitando la benna e si addentrarono in una città surreale e deserta, che sembrava del secolo scorso, nera e fuligginosa. In lontananza si sentiva un rumore sordo, simile al passo di un gigante.
Improvvisamente, in fondo alla strada apparve la fabbrica di cui evidentemente esisteva una copia anche di qua, ma molto più grande, rumorosa, lampeggiante e viva. Intuirono che tutti gli abitanti della città lavoravano lì dentro.
I due riuscirono ad infiltrarsi tra i macchinari e i depositi di materiale entrando nel capannone. Le macchine erano anche lì enormi, brutali e vive, simili a mostri antidiluviani, legate a gigantesche catene. Gli uomini li alimentavano tra mille pericoli e tra gli operai Morgan vide il vecchio Sam!
Dalla finestrella in alto un terrificante Jacobs sorvegliava la scena con occhi di fuoco.


Ora tutto era chiaro anche se incredibile: continuamente evocata dai terribili ricordi di quanti avevano lavorato nella vecchia fabbrica, questa aveva continuato ad esistere nell'Altra Dimensione prosperando e trattenendo prigionieri gli spiriti di tutti coloro che non erano riusciti a sottrarsi.
Jacobs e i suoi sgherri avevano continuato ad alimentare le macchine che qui erano davvero le belve feroci che a tutti erano sembrate nella dimensione reale. Le paure e i racconti di chi aveva sofferto nella fabbrica le avevano ingigantite, alimentate, rese sempre più grandi e più crudeli (e lo stesso Jacobs e i suoi sgherri ne erano diventati schiavi, più che padroni; schiavi che controllavano altri schiavi)


Un evento misterioso accaduto alla fabbrica in passato (un esperimento paranormale dello stesso Jacobs? Lo si diceva dedito a pratiche misteriche; fu per quello che lui scomparve misteriosamente?) aveva collegato in qualche modo le due dimensioni e qualcosa di quel fluido vitale e malefico aveva cominciato a filtrare anche di là. Chiunque si avvicinasse alla fabbrica (il vecchio Sam, ma anche altri che ci vivevano vicini) erano stati colpiti dal fluido e le loro anime erano rimaste prigioniere di Jacobs che li faceva lavorare in quel limbo orribile e senza tempo. Una schiavitù destinata a durare e ad espandersi se i miasmi letali avessero continuato a diffondersi. Cosa infatti stavano costruendo le macchine di Jacobs? Altre macchine, naturalmente, destinate forse ad invadere il nostro mondo e a distruggerlo in un'orgia di denti acuminati e artigli metallici.
Morgan e Mayer, sgomenti e angosciati, stavano pensando a come agire quando sentirono un terribile stridore alle loro spalle. Voltandosi videro la bocca di un forno spalancata verso di loro. Una macchina li aveva individuati e urlava perché aveva fame. Il frastuono richiamò un guardiano che si accorse dei due e urlò per dare l'allarme.
I due scapparono nei meandri della fabbrica. Subito i guardiani liberarono una delle macchine che, simile ad un mostruoso segugio meccanico, si lanciò al loro inseguimento digrignando denti di ferro.
Inerpicandosi su per le travature dei capannoni, dove il mostro era impossibilitato a seguirli, Morgan vide il cielo squassato da lampi. La tempesta che li aveva condotti lì, continuava sempre più violenta.
Tutta la fabbrica e i mostri che conteneva erano di ferro e se un fulmine la avesse colpita di nuovo forse la “porta” si sarebbe riaperta consentendo loro di scappare...
Mayer continuò ad arrampicarsi lungo le travature mentre Morgan distraeva il segugio meccanico. Altri guardiani li individuarono e li inseguivano sulle passerelle di metallo. Anche Morgan, per fuggire al segugio, dovette passare pericolosamente sopra i forni le cui bocche si protendevano cavernose e rosse di metallo fuso per inghiottirlo. Ma riuscì a passare, nonostante il calore infernale e i fumi oleosi che rendevano insicura la presa, arrivando ad una gru ed entrando nella cabina, per fortuna vuota. Nonostante che i comandi della gru cercassero incredibilmente di ribellarsi e di resistergli, Morgan riuscì ad imporsi e iniziò a manovrare la gru protendendo il braccio verso il cielo come un gigantesco parafulmine. Jacobs lo vide e gridò di rabbia intuendo quello che Morgan stava per fare.
Dalla parte opposta, infatti, Mayer aveva agguantato il cavo che penzolava dalla gru (ruotata opportunamente da Morgan) e aveva agganciato il gigantesco gancio di ferro ad una delle putrelle di acciaio della struttura principale, collegandola alla gigantesca caldaia che forniva energia a tutta la ferriera.
Proprio in quel momento un fulmine potentissimo colpì la fabbrica e, attraverso il cavo della gru collegato alla struttura, si scaricò proprio nel nucleo di metallo malefico che ne costituiva l'essenza, con un picco di energia che la sconvolse nel profondo.
Per un momento tutto diventò elettrico e vibrò potentemente. Le macchine si contorsero strette dalle catene, i guardiani caddero dalle travature da dove stavano per raggiungere Morgan, e lo stesso spettro di Jacobs perse l'equilibrio, cadendo con un urlo nella bocca spaventosa di una trituratrice che si chiuse a scatto su di lui come le mascelle di un mostruoso coccodrillo irto di denti di ferro.
Morgan si ritrovò a terra circondato dai pezzi fumanti delle macchine esplose in mille pezzi. Intorno era tutto un fuggi fuggi di gente che lasciava cadere gli attrezzi e i grembiuli di cuoio e scappava, finalmente libera.

Nella sua camera del mondo reale il vecchio Sam si alzò a sedere sul letto di soprassalto, guardandosi intorno vigile e smarrito, come chi si risveglia da un brutto sogno.

Morgan si rialzò ancora scosso, ma incolume, mentre il fumo e l'oscurità di dissolvevano. Calatosi da una trave, Mayer gli corse accanto e lo aiutò a camminare, ridendo e piangendo per la tensione che lo aveva attanagliato e che ora poteva finalmente sciogliersi.
Erano in mezzo al prato che circondava la vecchia fabbrica il cui tetto, colpito dal fulmine, aveva appena finito di bruciare ed era crollato. Quanto era accaduto era solo un brutto sogno generato dalla scossa che li aveva colpiti la prima volta, o era accaduto veramente?
Il fumo si dissolveva pigramente nell'aria in lente volute mentre si sentivano le sirene dei pompieri che arrivavano. Incredibilmente, forse bagnati dalla pioggia e rivitalizzati dal calore dell'incendio, sembrava che i rampicanti prima rinsecchiti avessero ripreso vita cominciando a fiorire e a generare foglie verdi e fresche.
Anche l'aria intorno alla fabbrica sembrava più leggera al sole del nuovo mattino che stava sorgendo e le vecchie macchine rugginose ora apparivano a tutti quello che erano in realtà: rottami di un tempo passato, ormai inutili e inoffensivi.
- Penso proprio che dovremo recuperare questo ferrovecchio e farne lampioni e panchine da usare per abbellire la città. – Dichiarò pensieroso il comandante dei vigili del fuoco – Tutto questo spazio sprecato è una vergogna. Potremmo costruirci un bel parco, qui dentro. Sarà bene che ne parli al sindaco.
Ma Morgan si era già allontanato sorridendo.
Ai margini del prato aveva già visto avvicinarsi il piccolo Georg tenuto per mano dal vecchio Sam che sorrideva allegro, circondato da altri ragazzi entusiasti.
Era previsto gelato per tutti, quella mattina.


© Giorgio Pezzin 2012
Tutti i diritti riservati

1 commento:

  1. Bella storia, penso che meriterebbe di essere sviluppata in qualcosa di più che un racconto.

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